Reometri

Reometri

Strumento di laboratorio per misurare come fluisce un materiale liquido quando è sottoposto ad una forza applicata, anche ad elevata viscosità.[...]

Viscosimetri

Viscosimetri - Scelta del viscosimetro

Per viscosimetro si intende uno strumento adatto a misurare la viscosità dei fluidi. Esistono vari tipi di viscosimetri, a tubo o capillare, a tazza, rotazionali, a vibrazione, di Hoeppler[...]

WSI ANALYSER SA9000-0

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Lo strumento per la separazione dell’acqua (WSI) è uno strumento da banco/portatile completamente automatico e compatto.[...]


Memmert

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Prodotti chimici per laboratorio

Prodotti Chimici e Reagenti per Laboratorio

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ALM-155

Densimetro ALM-155 - Kem

Densimetro a capillare oscillante, di elevata precisione [...]


Focus Tecnici

Reologia e Proprietà Fisiche

  • Analisi di superfici ed interfacce dei campioni

    Concetti come bagnabilità, frizione, adesione di campioni costituiscono argomenti d’interesse per le applicazioni più disparate (resistenza all’usura di un componente meccanico, tenuta di un cerotto sulla pelle, applicazione di una vernice su una superficie), ma sono tutti strettamente correlati ad un aspetto specifico del campione: la sua superfice, o interfaccia. Qui di seguito cercheremo di definire tali concetti e di spiegare i metodi con cui si possono caratterizzare.

    Cosa sono la superficie e l’interfaccia e quali sono le loro caratteristiche

    Siamo tutti famigliari con gli stati della materia: solido, liquido e gassoso (non citiamo la fase plasma per non complicare il discorso).

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  • Reologia

    Branca della fisica che ha come scopo la descrizione, la spiegazione, la misura e lo studio dei fenomeni meccanici che avvengono nei materiali quando questi vengono deformati.
    In questo senso, la reologia studia la deformazione e il flusso dei materiali.

    Obiettivo primario di uno studio reologico di un materiale è quindi la ricerca di una relazione che ne definisca il comportamento meccanico.
    Essa viene usualmente indicata con il nome di equazione costitutiva o anche equazione reologica di stato del materiale considerato e lega tra loro le grandezze dinamiche (sforzo) a quelle cinematiche (deformazione).

    E’ possibile classificare la natura di un materiale (liquido, semisolido o solido) in base alla sua risposta a seguito di una sollecitazione esterna. Il materiale può scorrere, deformarsi parzialmente o non deformarsi.
    Al termine della sollecitazione esterna possono verificarsi tre risposte da parte del materiale in oggetto:

      1. Una deformazione continua, infinita, non più recuperabile: il materiale scorre (liquido)
      2. Una deformazione che permane totalmente o parzialmente al cessare della sollecitazione: materiali plastici o viscoelastici
      3. Una deformazione che viene totalmente recuperata al termine della sollecitazione: materiali elastici.
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  • Viscosimetri – Scelta del viscosimetro

    Per viscosimetro si intende uno strumento adatto a misurare la viscosità dei fluidi.
    Ma quali fluidi?
    Dal punto di vista fisico/reologico, con un viscosimetro è possibile misurare solamente la viscosità di fluidi newtoniani.
    Gli altri prodotti, pseudoplastici e in particolare, plastici, non dovrebbero essere misurati con un viscosimetro, ma con un reometro. Questi prodotti infatti presentano una viscosità che diminuisce al variare della sollecitazione o addirittura (nel caso dei campioni plastici) presentano un limite di scorrimento.
    La misura delle proprietà reologiche di questi campioni è realizzabile solo con un reometro.

    Esistono vari tipi di viscosimetri, a tubo o capillare, a tazza, rotazionali, a vibrazione, di Hoeppler ecc.

    Ciascuno di questi viscosimetri è fornito di accessori che li rendono adatti per misurare prodotti a bassa oppure ad alta viscosità. Ad esempio i viscosimetri rotazionali utilizzano rotori di dimensioni diverse a seconda della viscosità del campione oppure, nel caso delle tazze viscosimetriche, ne esistono con fori di efflusso più o meno grandi.

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Wine & Beverage

  • Il potere antimicrobico dell’SO2 in enologia

    So2 in Enologia


    La solforosa è efficace sia contro i batteri che contro i lieviti: il suo potere antisettico dipende fondamentalmente dalla concentrazione nella sua forma molecolare.
    Durante la fermentazione, alcuni lieviti e molti batteri, sono più sensibili di altri agli effetti della SO2 quindi avviene un’importante operazione di selezione.
    Nella giusta concentrazione, l’SO2 nei mosti e nei vini previene da lieviti e batteri indesiderati come Brettanomyces, Pediococchi e Lattobacilli batteri acetici e mantiene attivi quelli selezionati come i Saccharomyces.
    L’enzima, prodotto dalla Botrytis cinerea presente in uve ammuffite, è meno sensibile ai solfiti.
    Per neutralizzare i lieviti nel vino sono sufficienti piccole quantità di SO2 molecolare perché entra in gioco un altro potente antisettico: l’alcool.
    In affinamento, la sua attività antisettica dipende dalla concentrazione nella forma molecolare e Ione Bisolfito quindi dal pH, dalla temperatura e dall’alcool.
    In fase di conservazione la SO2 inibisce tutti i microrganismi quindi evita non volute rifermentazioni o rivitalizzazione di lieviti in bottiglia.

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  • Ossidazione enzimatica dell’SO2 in enologia

    So2 in Enologia

    Ossidazione enzimatica Polifenolossidasi

    Tra gli enzimi attivi propri dell’uva, durante la fermentazione ne abbiamo di positivi (es. β-glucosidasi ed esterasi) ed altri negativi, come l’enzima ossidasico (polifenolossidasi).
    L’ossidazione enzimatica o polifenolossidasi (PPO) ad opera degli enzimi dell’uva (tirosinasi) o delle muffe (Botrytis cinerea e Laccasi), trasforma i composti fenolici (flavan-3-oli Acido caffe-oil-tartarico ecc.) in chinoni provocando l’imbrunimento enzimatico.
    Nelle uve sane la tirosinasi è il principale enzima coinvolto nelle reazioni di imbrunimento.
    L’anidride solforosa agisce riducendo l’attività dell’enzima tirosinasi degenerativo (polifenolo ossidasi) presente nel mosto (imbrunimento).
    E’ possibile eliminarla anche con chiarifica oppure iper-ossigenazione
    La laccasi, invece prodotta dalla Botrytis cinerea, è poco sensibile sia ai trattamenti con bentonite che alle aggiunte di solfiti, e costituisce pertanto un grosso problema per i produttori.
    Nel corso della vinificazione l’attività della PPO diminuisce in relazione alla formazione di alcol, alla diminuzione di pH ed alla precipitazione delle proteine.
    Queste reazioni fenoliche, sia enzimatiche che non enzimatiche, hanno come risultato la formazione di prodotti secondari chiamati chinoni che sono direttamente coinvolti in tutti i processi di ossidazione.

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  • SO2 e O2 Processi di Ossidazione e Protezione

    So2 in Enologia

    L’ossidazione è il termine usato dai chimici per descrivere quando un elemento o un composto perde elettroni; l’ossigeno rientra spesso in questo processo perché quando reagisce con un elemento o un composto accetta prontamente uno o più elettroni.
    Abbiamo visto che l’ossidazione durante la raccolta delle uve è di tipo enzimatico mentre nei processi successivi è di tipo non enzimatico o chimico.
    La So2 agisce da inibitore sulle ossidazioni di natura chimica delle sostanze fenoliche che, se non opportunamente protette, si ossidano compromettendo le sostanze coloranti, i tannini, le sostanze aromatiche e quindi la qualità organolettica del vino.
    Il rischio aumenta con la presenza di potenti catalizzatori di reazione come gli ioni metallici del rame e ferro.
    La So2 è utilizzata in viticultura per prevenire queste ossidazioni ma non agisce direttamente eliminando l’ossigeno da vini e mosti: sebbene lo ione solfito (So3 2 – ) possa legarsi all’ossigeno, non c’è praticamente ione solfito in soluzione nell’intervallo di pH trovato nel vino.
    Per comprendere bene le interazioni tra i polifenoli e l’O2 è necessario approfondire le reazioni chimiche che intervengono durante questo processo
    Catalizzatore Cu2
    Analisi dei vini

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Laboratorio

  • La Cappa chimica ad estrazione totale è un DPC (Dispositivo di Protezione Collettiva).

    E’ uno spazio di lavoro chiuso e ventilato con la funzione di contenere ed espellere vapori e particolato prodotti al suo interno. Chiuso ai lati e sul fondo, ha sul tetto un plenum per l’aspirazione ed espulsione dell’aria. Un’apertura a saliscendi frontale permette a l’utilizzatore le manipolazioni al suo interno.

    La cappa chimica deve essere progettata ed installata correttamente ed avere interventi di manutenzione per garantire la protezione per l’operatore.

    Le sostanze manipolate sono caratterizzate da potenziale pericolo. Infatti all’interno delle cappe si possono sviluppare atmosfere anche tossiche, infiammabili, o esplosive. La cappa, per tale motivo deve essere mantenuta perfettamente efficiente.

    La norma europea di riferimento per la costruzione, ed i test prestazionali, è la UNI EN 14175. La norma che regolamenta le prestazioni minime è la UNI TS 11710.

    Le Cappe devono possedere una certificazione di prodotto ed il marchio CE.

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