Reologia e Proprietà Fisiche
Analisi di superfici ed interfacce dei campioni
Concetti come bagnabilità, frizione, adesione di campioni costituiscono argomenti d’interesse per le applicazioni più disparate (resistenza all’usura di un componente meccanico, tenuta di un cerotto sulla pelle, applicazione di una vernice su una superficie), ma sono tutti strettamente correlati ad un aspetto specifico del campione: la sua superfice, o interfaccia. Qui di seguito cercheremo di definire tali concetti e di spiegare i metodi con cui si possono caratterizzare.Cosa sono la superficie e l’interfaccia e quali sono le loro caratteristiche
Siamo tutti famigliari con gli stati della materia: solido, liquido e gassoso (non citiamo la fase plasma per non complicare il discorso).
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Branca della fisica che ha come scopo la descrizione, la spiegazione, la misura e lo studio dei fenomeni meccanici che avvengono nei materiali quando questi vengono deformati.
In questo senso, la reologia studia la deformazione e il flusso dei materiali.Obiettivo primario di uno studio reologico di un materiale è quindi la ricerca di una relazione che ne definisca il comportamento meccanico.
Essa viene usualmente indicata con il nome di equazione costitutiva o anche equazione reologica di stato del materiale considerato e lega tra loro le grandezze dinamiche (sforzo) a quelle cinematiche (deformazione).E’ possibile classificare la natura di un materiale (liquido, semisolido o solido) in base alla sua risposta a seguito di una sollecitazione esterna. Il materiale può scorrere, deformarsi parzialmente o non deformarsi.
Al termine della sollecitazione esterna possono verificarsi tre risposte da parte del materiale in oggetto:-
- Una deformazione continua, infinita, non più recuperabile: il materiale scorre (liquido)
- Una deformazione che permane totalmente o parzialmente al cessare della sollecitazione: materiali plastici o viscoelastici
- Una deformazione che viene totalmente recuperata al termine della sollecitazione: materiali elastici.
Viscosimetri – Scelta del viscosimetro
Per viscosimetro si intende uno strumento adatto a misurare la viscosità dei fluidi.
Ma quali fluidi?
Dal punto di vista fisico/reologico, con un viscosimetro è possibile misurare solamente la viscosità di fluidi newtoniani.
Gli altri prodotti, pseudoplastici e in particolare, plastici, non dovrebbero essere misurati con un viscosimetro, ma con un reometro. Questi prodotti infatti presentano una viscosità che diminuisce al variare della sollecitazione o addirittura (nel caso dei campioni plastici) presentano un limite di scorrimento.
La misura delle proprietà reologiche di questi campioni è realizzabile solo con un reometro.Esistono vari tipi di viscosimetri, a tubo o capillare, a tazza, rotazionali, a vibrazione, di Hoeppler ecc.
Ciascuno di questi viscosimetri è fornito di accessori che li rendono adatti per misurare prodotti a bassa oppure ad alta viscosità. Ad esempio i viscosimetri rotazionali utilizzano rotori di dimensioni diverse a seconda della viscosità del campione oppure, nel caso delle tazze viscosimetriche, ne esistono con fori di efflusso più o meno grandi.
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Setaflash Small Scale, Test automatico punto di infiammabilità: Domande e Risposte
In alcuni metodi (ad es. ASTM 8174 e EPA 1020) si legge che il metodo stesso non è applicabile per rifiuti che formano uno strato superficiale. A quali tipologie di rifiuti si riferisce questa affermazione?
Premesso che, ASTM D8174-18, copre la procedura per il punto di infiammabilità, nell’intervallo da –20 a 70 °C, di rifiuti liquidi, utilizzando un tester a tazza chiusa small scale, quindi capace di raffreddare a temperature inferiori a -20°C, lo strumento risulta conforme.
Questo metodo di prova non è applicabile ai rifiuti liquidi che formano una pellicola superficiale, vedi il metodo di prova D8175 per la determinazione del punto di infiammabilità dei rifiuti con il tester Pensky-Martens a tazza chiusa.
Questo metodo di prova copre la procedura per una prova del punto di infiammabilità, nell’intervallo da 20 a 70°C, di rifiuti liquidi utilizzando un tester a tazza chiusa Pensky-Martens manuale o automatico.La differenza tra Pensky-Martens e small scale è: PM, circa 80 ml di campione + agitazione (https://www.stanhope-seta.co.uk/wp-content/uploads/35000-0_PM-93_Flashpoint.pdf).
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Laboratorio
La Cappa chimica ad estrazione totale è un DPC (Dispositivo di Protezione Collettiva).
E’ uno spazio di lavoro chiuso e ventilato con la funzione di contenere ed espellere vapori e particolato prodotti al suo interno. Chiuso ai lati e sul fondo, ha sul tetto un plenum per l’aspirazione ed espulsione dell’aria. Un’apertura a saliscendi frontale permette a l’utilizzatore le manipolazioni al suo interno.
La cappa chimica deve essere progettata ed installata correttamente ed avere interventi di manutenzione per garantire la protezione per l’operatore.
Le sostanze manipolate sono caratterizzate da potenziale pericolo. Infatti all’interno delle cappe si possono sviluppare atmosfere anche tossiche, infiammabili, o esplosive. La cappa, per tale motivo deve essere mantenuta perfettamente efficiente.
La norma europea di riferimento per la costruzione, ed i test prestazionali, è la UNI EN 14175. La norma che regolamenta le prestazioni minime è la UNI TS 11710.
Le Cappe devono possedere una certificazione di prodotto ed il marchio CE.
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